Freddo. Silenzio. Freddo. Silenzio. Il viaggio comincia prima di entrare. La palazzina della polizia adesso contiene impiegati, parlano tra loro, discutono, ridono, scherzano. Lo facevano anche allora, nel 1933, appena aperto il campo. Anche allora: impiegati. Poi si arriva, si gira la testa, e vedi il binario che si ferma davanti all’ingresso. Un’immobile anonimo, semplice, tipicamente squadrato nella sua funzionalità. Come le case che disegnano i bambini. Il binario muore lì, dove la speranza ancora non moriva. Qui, a Dachau, un paese tranquillo della Baviera.
Perché siamo in Germania, non in un paese occupato. E questo campo non è nato per lo sterminio dei popoli vinti, inferiori e destinati al dominio ariano. Questo campo nasce nel 1933, per punire gli oppositori del regime: cristiani cattolici ed evangelici, comunisti e democratici, atei ed ebrei. Forse il rivale in amore, forse anche “quello antipatico”. Da qui nasce l’archetipo del campo.
Devi aprire il cancello, e torna il freddo. Perché intravedi uno spiazzo, ma è solo uno spiazzo. Perfetto per radunare tante persone, tutte insieme, tutte in silenzio, tutte persone. Sembrano scheletri. Sono uomini e donne. Sembrano manichini. Le urla dei kapò radunano le baracche, i cani abbaiano, un latrato disorganico e freddo.
Urla urla urla. Ma quanti sono…
Adesso entriamo negli ambienti delle cucine, del comando, dei locali dei soldati. Dove li hanno addestrati? Qui non ci sono nemici da combattere. E guardo fuori, mentre un bastone mi spezza le ginocchia…non mi ha chiamato per nome, ha detto un numero.
Quale sarà la mia casa? Chi sono tutti questi numeri? Freddo freddo freddo
Eccolo che scappa, che corre, che arriva alla rete, ecco che brucia, ecco che si consuma l’ultimo desiderio, portare l’anima oltre la rete, oltre il muro. Un proiettile risparmiato, una licenza premio non data, il sistema funziona. Ma oltre il muro le persone ci sono, e passano. Guardano dall’altra parte, lì dentro non sanno chi c’è, cosa fanno in quella fabbrica, forse macellano e bruciano gli scarti degli animali.
Anche i sacerdoti cattolici, loro si che sono fortunati: possono anche dir messa, e se credono che Dio è risorto, scenda dalla Croce e venga a salvarli! Dio urla qui dentro, ma l’uomo non lo sente, l’uomo è morto in quel piazzale.
E nella cella Dio vive nell’Uomo, e prega con l’uomo, la carne di Cristo viene adorata e glorificata, perché l’uomo ricordi l’immagine di Dio.
Ricordi l’amore del figlio per la madre, i giochi dei fratelli, l’abbraccio del bambino che piange, silenzioso, sul gradino della baracca.
Mamma, dove sei.
Ti ho perso mamma, dove ti cerco non ti trovo, tra questa foresta di legno, tra questi sconosciuti brandelli di esistenza. Vita, esistenza, uomo, Dio, con questo vento non si capiscono le parole, solo i numeri, i numeri urlati, i numeri scritti sulla pelle, tatuaggi non richiesti, segni di umiliazione e di nullità. Tutti i numeri sono zero, unica è la morte, ma non arriva. Mamma dove sei.
Qui finisce la storia, qui si smaltisce il freddo, la fame, il vento. Qui il corpo trova pace, il luogo più scabroso sembra questo. NO, qui finisce una storia, il luogo dello scandalo è fuori, in quello spiazzo, in quelle baracche, in quella ghiaia intrisa di sangue.
Non di lacrime, quelle rimangono a noi.
Ricorda, e stai in silenzio ascoltando le urla.
Qui, adesso, prega.